Messico, Belize, Guatemala
Diario
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1° giorno - Domenica 16 dic 2001 |
Austin-Monterrey
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712 Km |
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Prima tappa: Monterrey. Ci arriviamo dopo 8 ore di viaggio, non poco
movimentate: come al solito passare il confine è uno choc. Siamo
stati diverse volte a Tijuana, ma non ci siamo ancora abituati all'assalto
dei messicani, che circondano la macchina guardandoti come si guarda un
lingotto d'oro, convinti che anche noi siamo americani danarosi...quanto
si sbagliano! Dopo aver schiacciato diverse mani nei finestrini, ripartiamo
convinti di essere sfuggiti alla morsa del confine. Ma dopo mezz'ora siamo
di nuovo lì, perché ci eravamo dimenticati di fare il permesso
turistico e siamo stati tanati al primo controllo. Passiamo quindi un'oretta
tra file e trauma da disorganizzazione. Fra la tassa per noi e quella
per la macchina sfuma il budget di un intero giorno! Poco prima di giungere
a Monterrey il terzo trauma della giornata ci colpisce. Accendiamo la
radio...et voilà...una già orrenda canzone di Alex Britti
raggiunge il fondo nella sua versione spagnola: "il tiempo vas y passano
les horas..."! :-(
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2° giorno |
Monterrey - Queretaro
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763 Km |
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Ci svegliamo alle 6 nell'ingenua convinzione di fregare tutti e impossessarci
delle strade deserte della città. E invece siamo rimasti bloccati
per più di un'ora nel traffico più caotico e disordinato
che avevamo mai visto.
Tra Saltillo e San Luis Potosì abbiamo assistito ad uno strano
fenomeno: ai bordi della strada centinaia di persone per chilometri e
chilometri cercavano di attirare l'attenzione delle macchine per vendere
quelle che a noi sono sembrate bisce secche, animali sventrati e conciati,
e altre schifezze varie. Bleah!
Abbiamo raggiunto la nostra meta del giorno: Queretaro. Una città
carinissima, piena di vita e di begli edifici di epoca coloniale. Da quanto
tempo non passeggiavamo in belle piazze, viuzze pedonali e sotto portici
colorati e pieni di gente! Bhè, per lo meno da quando siamo negli
Stati Uniti! Ci siamo lasciati conquistare dall'atmosfera e solo dopo
aver passeggiato a lungo ci siamo fermati a bere un caffè "Queretano"
(con brandy, vodka e panna) in un bel localino stile osteria bolognese,
che ci ha resi un po' nostalgici. Ma l'alchool prevaleva sul caffè,
e il sonno non si è fatto attendere...quindi ora siamo in una stanza
d'albergo spoglia e scalcinata in un gran bell'edificio storico del centro.
Buonanotte!
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3° giorno |
Queretaro - Veracruz
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697 Km |
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Oggi non è stata una gran giornata: ma chi ha pensato
la rete stradale di Città del Messico?! La città più
grande e popolosa del mondo non ha una tangenziale, i cartelli sembrano
messi a caso, e per guidare più che la patente serve il porto d'armi.
Risultato: 3 ore a glutei contratti! Per non parlare del costo delle autostrade
messicane: solo oggi ci sono costate ben 700 pesos (circa 70 dollari)! Siamo
però stati ripagati dal paesaggio lussureggiante e tropicale tra
Puebla e Veracruz: alti monti dalla sagoma tondeggiante, fitti di vegetazione
ed immersi nella nebbia; villaggi nascosti da palme, canneti e banani; i
tratti somatici delle persone iniziano a combaciare con i profili Maya visti
sui libri. Arrivati a Veracruz col buio ci sistemiamo nella stanza d'albergo
più essenziale che si sia mai vista, con luce al neon, pareti verdine
e finestrone da magazzino affacciato sul buio corridoio. Andiamo a fare
un giro al porto e ci sediamo a mangiare il famoso "huacinango alla veracruzana":
ma il pesce che ci portano è datato, cioé marcio e puzzolente...prima
e, siamo sicuri, ultima delusione culinaria in Messico. Anche la città
non ci ha entusiasmati: un porto turistico e caotico. La notte siamo cullati
dai rumori della strada: suoni continui di clacson, gente che canta felice,
bambini che strillano. Ah, è qui che nel XVI secolo sono sbarcati
i conquistatori spagnoli guidati da Cortes. |
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4° giorno |
Veracruz - Palenque
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691 Km |
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Oggi ci siamo spostati da Veracruz a Palenque. La strada è stata
molto lunga ma anche molto bella. In particolare ci siamo innamorati di
Santiago Tuxtla: lontano da tutto; incastonato fra i monti, immerso nella
foresta, attraversato da un limpido fiumiciattolo; pulito e ordinato nonostante
le stradine in terra; brulicante di indios colorati a passeggio. Compriamo
banane e un ananas BUONISSIMO e lo salutiamo. Appena usciti dal paese
incontriamo un insolito posto di blocco: bambini che tendevano corde sulla
strada e chiedevano soldi per abbassarle...però non sono stati
insistenti ed arroganti come quelli del nord del Messico. In questi villaggetti
la gente è molto cordiale e sorridente. Ci siamo poi affrettati
per raggiungere Palenque prima del buio, saltando la visita a Villahermosa
(dove mangiano le iguane!). Passato senza problemi un vero posto di blocco
(spesso i militari controllano i documenti della gente e perquisiscono
le auto), dopo aver visto un albergo a cabanas, evitato perché
pieno di americani, siamo ora sistemati in un economicissimo (80 pesos!)
ma accogliente alberghetto del centro. Chissà se riusciremo ad
addormentarci, visti gli schiamazzi dei ragazzini in strada con i petardi,
e soprattutto, con l'Iglesia qua fuori! Iglesia: una specie di messa,
in cui il predicatore ringrazia Dio con voce spezzata per ogni singola
cosa, con uno straziante accompagnamento musicale, tanto che sembrava
cantare il peggior Cocciante. Oh madonna... buonanotte!
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5° giorno |
Palenque
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Finalmente un giorno di non trasferimento: diamo tregua alla
macchina e ai nostri sederi. In mattinata ci presentiamo per primi all'apertura
del sito delle rovine di Palenque. Che bravi che siamo! Infatti il tempo
ci ha premiati con una graziosissima e non ancora terminata pioggia tropicale.
A parte il fatto che si camminava in una scarpa d'acqua e che eravamo bagnati
anche nelle mutande, i templi immersi nella giungla e nella nebbia ci hanno
veramente affascinato. Per oggi pomeriggio avevamo prenotato un'escursione
alle cascate di Misol Ha e Agua Azul, ma siamo riusciti a raggiungere solo
la prima. Un bel cannone d'acqua torbida (colpa delle piogge che hanno gonfiato
il fiume) immerso in una fitta giungla. Prima di riuscire a raggiungere
Agua Azul invece, abbiamo trovato due alberi caduti, una voragine sulla
nostra corsia e un fiume in piena che ci attraversava maleducatamente la
strada. Va bhe, niente Agua Azul per noi, quindi ci consoliamo con un'ottima
cena messicana (n.b.enchilada de mole) e un paio di margaritas! |



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6° giorno |
Palenque - Uxmal
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580 Km |
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Salutiamo Palenque, sperando che l'uragano non ci segua.
Il viaggio sta scorrendo tranquillo, attraversiamo villaggetti carinissimi
e pacifici (casette con tetti di paglia, banani e piante fiorite nei giardini),
mentre una natura rigogliosa continua a circondarci (palme da cocco e banani).
Abbiamo pranzato ottimamente a Escarcega con 2 dollari (quesadillas e frijoles)
in un ristorantino attaccato a un meccanico: l'abbiamo sempre detto che
sono quelli in cui si mangia meglio. Abbiamo attraversato Champoton, graziosa
cittadina sul Golfo del Messimo, dove abbiamo comprato del pane che dovrebbe
essere molto buono, a giudicare da quanto era gettonato da api e mosche.
Poi abbiamo fatto una passeggiata a Campeche, l'unica città messicana
che possiede fortificazioni: le stradine lastricate e le case basse dai
colori pastello ci hanno un po' ricordato i nostri Borgo San Giuliano e
Borgo San Giovanni. Ancora una volta grazie ai cartelli messicani ci siamo
persi. Neanche chiedere a 4 persone diverse è servito, ognuno era
convinto che fossimo in un posto diverso. Uno addirittura guardando la cartina
ci ha indicato la linea di confine di stato (Campeche e Yucatan) come una
strada che lui conosceva benissimo! Questo girovagare a vuoto ci ha però
portati, con nostra gioia, a scoprire Tinum: minuscolo villaggio con casette
dai tetti di paglia e dai giardini ordinati, stradine di terra con aranci
e banani ai lati, la gente tranquilla seduta davanti a casa a chiacchierare,
tutti che cercano, per quanto possono, di aiutarti... qui sembra che il
tempo non scorra e l'atmosfera che pervade questi posti ci piace un sacco.
Ci siamo innamorati della semplicità del vero Messico: ma
chi l'ha detto che è un Paese pericoloso? Abbiamo comunque raggiunto
Uxmal e ora, dopo aver pianificato la giornata di domani, ci accingiamo
a riposare insieme ai soliti insettini di cui amiamo circondarci. |




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7° giorno |
Uxmal - Chichen Itza
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414 Km |
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Il sito di Uxmal ci piace molto: la piramide dell'indovino
(unico edificio Maya a base ovale), il quadrilatero delle monache, il palazzo
del governatore, sono immersi in una foresta verdissima. Anche oggi siamo
i primi all'ingresso e questa volta ci premia un sole splendente. Scambiamo
chiacchiere e opinioni con un gruppetto di italiani e poi ci avviamo verso
Celestun: andiamo là per vedere i fenicotteri e mangiare il pesce.
Non vediamo i primi (il giro in barca dura troppo per i nostri ritmi) ma
ci gustiamo il secondo in spiaggia sotto una fresca cabana. Oggi pomeriggio
ci siamo recati a Tixkokob per vedere il villaggio in cui in ogni casa c'è
un telaio per produrre coloratissime amache (che vengono poi vendute al
mercato di Merida). Nello zocalo ci attendeva un ometto in bicicletta, e
in un attimo ci siamo ritrovati a seguirlo per le viuzze fino a casa sua,
dove il suo abile parentado ci ha intortato un po' e da dove siamo usciti
con ben 3 amache. La strada di oggi ci ha fatto fare la conoscenza di molte
belle cittadine, ognuna col proprio zocalo (la piazza principale) su cui
si affaccia una chiesa maestosa: è incredibile la concentrazione
di chiese in ogni città, ed anche nei villaggi più poveri
e scalcinati esse sono mantenute alla perfezione e spiccano in lontananza
nel paesaggio. Ora siamo in una simpatica camera nel giardino sul retro
di un negozietto a Chichenitza, e vi abbiamo subito appeso la nostra nuova
amaca. |




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8° giorno |
Chichen Itza - Isla Mujeres
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242 Km |
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Anche oggi a Chichenitza siamo i primi davanti ai cancelli.
Giriamo il sito sotto un sole cocente facendo un milione di foto. Ci siamo
arrampicati sul famoso Castillo, ripido che per scendere ho fatto la scala
di culo aggrappata alla corda. Molto bello ma meno suggestivo degli altri
siti visti. Poi ci siamo diretti a Cancun sulla strada "libre", per i poveri
e con i poveri. Ma con tutti i topes che ci sono, i soldi risparmiati nel
pedaggio se ne andranno a riparare gli ammortizzatori! Comunque saltiamo
a pie' pari Cancun (vi faremo un salto domani) per andare a imbarcarci a
Puerto Juarez per l'Isla Mujeres. Aspettando il traghetto ci siamo pappati
un po' di pasta e il nostro solito caffè corretto (goduriosi!) all'ombra
di una palapa sulla spiaggetta vicina al porto. E ora eccoci qua sull'isola,
come al solito a mangiare buon messicano, cullati da un leggero venticello.
Dopo aver appeso la nostra amaca all'ostello (questa notte sarà la
prova della verità) ci siamo goduti un tramonto niente male, in riva
al mare sotto rosse nubi e con davanti due grossi bicchieri di pina colada
e margarita. Ora, dopo un'ulteriore margarita, con la testa che gira un
po', andiamo a passeggio per le viuzze, turistiche ma carine, dell'unico
paese dell'isola. |


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9° giorno - Lunedì 24 dic 2001 |
Isla Mujeres - Playa del Carmen
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59 Km |
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Ebbene, la prova dell'amaca è stata un fiasco! Ma non diamole
troppe colpe... in fondo non ci si può dimenticare di quella simpatica
coppia di sposini che ha fatto cantare e ballare tutto il paese fino alle
4 di notte... sotto la nostra finestra!! Insomma, non abbiamo chiuso occhio.
Il bagno dell'ostello era indecente, quindi siamo usciti di buon ora in
strada alla ricerca di servizi. Vedendomi in pena, un tipo piuttosto sgradevole
si è messo ad "aiutarmi": andava in giro a dire a tutti, indicandomi,
che avevo bisogno del bagno, e quando l'ho trovato mi ha anche aspettata
di fuori. Che brutta esperienza! Dopo aver cercato di affittare biclette
o motorino ad un prezzo onesto per fare il giro dell'isola, un pescatore
ci ha proposto un giro in barca con snorkeling e grigliata di pesce compresi
a 130 pesos: più che onesto. Attendiamo il resto del gruppo e ci
lanciamo alla scoperta di splendidi fondali... cioé, Stefano si
è lanciato, io avevo febbre, diarrea e mestruazioni! Mi sono così
goduta il mare trasparente e il bel paesaggio dalla barca: ne è
valsa comunque la pena perché il pesce che ci hanno dato era buonissimo.
Finito il giro abbiamo subito preso il traghetto per Puerto Juarez, e
di lì ci siamo fiondati a Playa del Carmen, saltando ancora una
volta Cancun (questa volta definitivamente), spaventati dal muro di alberghi
che si vedeva in lontananza. Alle 5 siamo già sistemati in albergo
(un po' sporchino e caotico) e ci siamo addormentati febbricitanti fino
alla mattina alle 7. Ci voleva proprio!
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10° giorno - Martedì 25 dic
2001 |
Playa del Carmen - Tulum
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89 Km |
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Passiamo la mattinata a zonzo per Playa del Carmen. Riceviamo
e spediamo auguri da un Internet Cafè. Appurato che la città
non offre niente che ci esalti (ristoranti turistici ben poco invitanti,
una marea di alberghi, e il brutto tempo), andiamo a visitare il sito di
Tulum. Sebbene sia poco interessante dal punto di vista architettonico,
è stupendo per la posizione: rovine splendidamente adagiate sul Mar
dei Caraibi. E' piacevole passeggiare a lungo nel sito e scorci mozzafiato
dai colori brillanti si susseguono, "costringendoci" a fare una marea di
foto (anche alle iguane!). La spiaggia a nord e sud del sito è tutto
un susseguirsi di resort, spesso proibitivi. Abbiamo dovuto cercare a lungo
prima di trovare una spiaggetta libera su cui piantare la tendina (in ricordo
dei vecchi tempi della Baja California). |



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11° giorno |
Tulum - Belmopan
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504 Km |
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Abbandoniamo per un po' il Messico (ci fanno pagare anche
la tassa di uscita e rimaniamo con l'amara sensazione di essere stati fregati)
ed entriamo in Belize. Un altro mondo! E' incredibile come una dogana separi
due mondi così distanti. Gli abitanti sono tutti neri e parlano inglese;
le case sono di legno e tutte costruite su palafitte; finalmente in giro
si sente bella musica (per lo più reggae); tutti hanno un'aria sorniona
ma simpatica. Ma la macchina sembra all'inizio un po' scettica su questo
paese. Infatti appena passato il confine ci siamo fermati a fare l'assicurazione
(che poi non abbiamo fatto perché "mio babbo non c'è"), e
al momento di ripartire il "carro" non dava segni di vita. Ma noi eravamo
fiduciosi, anche perché a 50 metri da lì, naturalmente, c'era
un meccanico. Alé, una martellata sul motorino d'avviamento e si
riparte, riforniti di una sbarra di ferro per quando ricapiterà ancora.
Una telefonata alla mia famiglia in tombola, e via verso Belmopan, la capitale
e meta del giorno. Attraversiamo Belize City senza visitarla, in quanto
guide e persone l'hanno definita pericolosa e decadente. Ma un po' ci dispiace,
perché vi abbiamo notato un'atmosfera alla New Orleans con un certo
fascino. Pazienza! Eccoci dunque a Belmopan: abbiamo combattuto con l'inglese
sbiascicato da qualche cinese (in Belize c'è una numerosissima comunità);
con alberghi chiusi, ma in cui si poteva entrare (e la gente dei dintorni
continuava ad insistere che erano aperti!); con la mancanza di illuminazione
e di segnali stradali... E' QUESTA LA CAPITALE DEL BELIZE?!?!? |


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12° giorno |
Belmopan - Sittee River
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193 Km |
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Anche alla luce del giorno Belmopan non appare diversa da
ieri sera col buio: un piccolo e brutto villaggio sonnolento che non si
è ancora reso conto di essere stato nominato capitale dello stato.
Va bhe, tanto noi lo abbandoniamo molto presto, per inoltrarci nelle Maya
Mountains, verso Dangriga. La strada che percorriamo è stupenda e
per la prima volta ci sembra davvero di essere in un altro mondo: la stradina
serpeggia tra monti e giungla in un susseguirsi di villaggetti (qua si chiamano
Community) fatti di capanne su palafitte, e ogni persona ha in mano un machete.
Dangriga, seconda città del Belize, ci ha stupiti non poco: è
poco più di un villaggio, con strade in terra battuta, gente cordiale
e spiritosa (una buona parte sono rasta), e un ritmo di vita lento e indefinito.
Dopo esserci divincolati dalle varie offerte di barcaioli improvvisati,
ci avventuriamo verso Sittee River. Percorriamo mulattiere di terra rossa
e sassi aguzzi e giungiamo a Hopkins: un villaggio da favola affacciato
sul Mar dei Caraibi, in cui i turisti si mimetizzano molto bene nella rilassatezza
generale. Mangiamo un buon pollo riso e fagioli in un minuscolo ristorantino
a tema: abbiamo dovuto fissare la padrona un bel po' prima che la padrona
ci chiedesse cosa volevamo mangiare. Dopo aver cambiato strada più
volte, viste le enormi piscolle d'acqua, finalmente giungiamo a Sittee River
e alla Glover's Guest House, dove ci accoglie il signor Lomont, proprietario
dell'isola in cui ci recheremo domani. Ci sistemiamo sotto le colorate zanzariere
del dormitorio, in compagnia di un pipistrello che speriamo mangerà
le zanzare. Ci addormentiamo emozionati al pensiero che domani saremo su
un atollo sperduto. |



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13° giorno |
Sittee River - Glover's Reef
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Le zanzariere colorate del dormitorio hanno funzionato: ci
svegliamo senza pizzichi, nonostante gli sciami di zanzare che ci circondano.
Poco prima delle 8 siamo pronti sul piccolo molo della Guest House, col
nostro carico non da poco: i due zainoni pieni zeppi, tenda e occorrente
vario per campeggiare, quattro galloni di acqua, borse con i viveri per
quattro giorni, l'indispensabile macete per i cocchi... ci hanno infatti
detto che sull'isola non c'è nulla.
E alle 8 in punto saliamo su una barchetta poco rassicurante (piccola da
5-6 posti, non proprio l'ideale per affrontare 40 miglia di mare aperto),
guidata da un "orso di mare" che ne ci ha salutati ne ci ha rivolto
una sola parola durante il viaggio di 2 ore circa.
Avvistiamo appena partiti alcune isolette in lontananza, e scommettiamo
eccitati su quale sarà la nostra. In meno di un'ora le raggiungiamo
e... le sorpassiamo. Il mare si fa aperto, mosso e profondo; ci giriamo
interrogativi verso il tipo, ma lui ha un viso inespressivo e ci ignora.
Ad ogni onda la barchetta fa un vero e proprio salto, e ogni volta che ricade
prendiamo una botta; non ci sono più isolette ne davanti ne di dietro;
il cielo è minaccioso e io ho un po' paura.
Lo smarrimento dura una ventina di minuti e finalmente avvistiamo un paio
di isolette minuscole: entriamo nel reef e l'acqua si fa azzurrissima e calmissima.
Finalmente sbarchiamo, e la proprietaria dell'isola, Marsha-Jo (una vecchia
in bikini un po' antiestetica), ci mostra l'isola. Date le dimensione facciamo
il giro in 10 minuti: qualche centinaio di palme da cocco (con migliaia
di cocchi in terra, pronti da mangiare e da bere), quattro o cinque capanne
su palafitte, altrettante tende, un paio di wc chimici nella giungla, un
paio di pozzi di acqua piovana per lavarsi, la "cucina" (due tavolacci
di legno con quattro fornelli al kerosene e vecchio pentolame incrostato).
Scegliamo un angolino carinissimo per la tenda e, prima ancora di montarla,
Stefano si catapulta col suo macete ad aprire cocchi da bere, mentre io
mi piazzo sulla prima amaca che vedo. Non ci sembra ancora vero di essere
in un luogo simile. Ci sono circa 20 persone sull'isola e anche se è
piccola si può far finta di essere da soli.
Dopo avere montato la tenda andiamo a goderci il tramonto su degli sdrai
rivolti verso l'isola vicina: è bellissimo e rossissimo... siamo
felici! |



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14° giorno |
Glover's Reef
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Oggi scopriamo l'altra faccia del paradiso: le sand flies.
Ieri credevamo che il prurito avvertito fosse un ricordo lasciato dalle
zanzare di Dangrida, Hopkins e Sittee River. Oggi invece ci accorgiamo mentre
numerosi insettini minuscoli si appoggiano sulla nostra pelle lasciando
pizzichi rossi fastidiosissimi. Le creme antizanzare non bastano, l'unica
soluzione è stare sempre a mollo... e come soluzione non è
male, del resto è quello che eravamo venuti a fare!
Anche oggi continua la passione per il cocco: lo mangiamo a colazione e
a pranzo cuociamo il riso nel latte. Bhé, entro la fine di questa
seconda giornata la visione dei cocchi inizia a provocarci una discreta
nausea.
Le serate sono piacevolissime, perché c'è la luna piena che
illumina a perfezione e creda delle ombre molto particolari, un po' surreali...
e soprattutto la sera non ci sono le sand flies! |


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15° giorno |
Glover's Reef
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Il risveglio di oggi non è proprio simpatico: appena
apro gli occhi sono costretta ad uscire a vomitare e poi a correre in bagno
per un attacco di diarrea. Eeehh, questi cocchi!
A parte questo comunque mi sento in forma, così decidiamo che questa
sera vogliamo cenare con il pesce pescato da noi. Passiamo dunque la giornata
su una canoa a "pescare".
Bhé, verso sera torniamo sconfitti e compriamo pesce dai proprietari
dell'isola. Ogni giorno infatti Warren (il genero dei proprietari, e colui
che ci ha portato in barca) esce a pescare qualcosa, sia per loro che per
gli ospiti dell'isola... e torna sempre carico!
Durante la cena facciamo conoscenza con i nuovi arrivati (oggi infatti c'è
stato il "ricambio" delle persone), tra cui una simpatica coppia
di italiani. |


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16° giorno - 31 dic 2001 |
Glover's Reef
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Il risveglio di oggi è identico a quello di ieri...
speriamo che non duri!
Il mio programma per quest'ultimo giorno del 2001 consiste nello scrivere
le cartoline e nel prendere più sole possibile: dovrà pure
notarsi che sono stata ai Caraibi?!
Stefano invece decide che l'esperienza Caraibica non è completa se
non pesca almeno un'aragosta. E così poco prima del tramonto rientra
un po' stravolto ma tira fuori dalla canoa una bella aragostona. Ci ritroviamo
quindi nella cucina insieme ad altri ragazzi dell'isola a cucinare per il
cenone. Aspettiamo poi la mezzanotte in spiaggia, intorno ad un bel fuocherello.
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17° giorno - Martedì 1 gen
2002 |
Glover's Reef - El Remate
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254 Km |
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Dopo un conto molto salato abbandoniamo l'isoletta, accompagnati
dal fidato Warren, silenziosissimo lupo di mare.. Il viaggio in barchetta
è molto più piacevole che all'andata: il mare è calmissimo,
e noi conosciamo già tempi e percorso. A Sittee River infiliamo tutto
in macchina alla rinfusa (che casino e che puzza!) e partiamo, convinti
che entro due ore saremo in Guatemala. Invece dopo 2 ore e mezza siamo ancora
a Dangriga, in un distributore di benzina: ancora trasognati dall'esperienza
dell'atollo, abbiamo ingenuamente lasciato entrambe le chiavi della macchina
al suo interno. Stranamente rimaniamo molto tranquilli, certi che prima
o poi un ladro di auto passerà di lì e l'aprirà. Il
"ladro" ci ha messo un bel po' ad arrivare, ma nel frattempo ogni persona
che passava dal distributore si è gentilmente prestata a forzare
i vetri e le serrature dell'auto. In certi momenti ci sono state almeno
dieci persone contemporaneamente, ognuna che girava intorno alla macchina
con martelli, seghe e piedi di porco, cercando un varco. Dopo circa due
ore Stefano si è fatto accompagnare, da una macchina scarcassatissima,
a casa di un "noto scassinatore di serrature", mentre io sono rimasta a
dirigere i lavori... e quasi subito mi si presenta un ragazzo, impacciato
nei movimenti, dicendomi: "io combatterò per aiutarti". Tutti gli
fanno largo e quando Stefano torna trova la portiera aperta e la piccola
comunità esultante. Offriamo al nostro eroe una ricompensa e lui
si accontenta di un'aranciata e riparte felicissimo. Corriamo poi verso
il Guatemala; perdiamo come al solito tempo e denaro alla frontiera, dove
becchiamo una famiglia romana caciarona che ad ogni sportello fa casino
e si lamenta. Giungiamo col buio a El Remate (sul lago Peten Itza) dove
ci sistemiamo in un simpatico stanzone aperto su un pollaio, con grandi
zanzariere sui letti. Trascorriamo la serata in un ristorante dove aspettiamo
ore per il nostro primo pasto guatemalteco (mmhm), chiaccherando con una
coppia di canadesi e un ragazzo austriaco (in viaggio da più di un
anno in sudamerica!). |
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18° giorno |
El Remate - Tikal
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42 Km |
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Oggi ci ispiriamo ai ritmi guatemaltechi e trascorriamo la
mattinata più tranquilla del nostro viaggio: ci alziamo alle sette
passate ed andiamo a passeggio sulla stradina che costeggia il lago. El
Remate è proprio il villaggio ideale per chi si voglia riposare qualche
giorno, a mollo nel lago o ad assolarsi nel pontile : è ciò
che stanno facendo da ben una settimana i canadesi di ieri sera con i loro
tre bimbi, e anche noi sguazziamo un po' in loro compagnia. Nel primo pomeriggio
decidiamo di schiodarci, ma il motorino d'avviamento, nonostante le botte
con la sbarra sembra definitivamente morto (oppure non vuole andare a Tikal?!).
Bhé, poco male, con l'aiuto di un ragazzo canadese Stefano spinge
la macchina e la facciamo partire a forza. D'ora in avanti dovremo sempre
fare attenzione a lasciare la macchina parcheggiata in modo da avere spazio
per spingerla! Andiamo dunque a Tikal, dove piantiamo la tenda ed andiamo
a goderci il tramonto nell'incredibile sito. Ci sediamo in cima al Mundo
Perdido, insieme a molti altri ragazzi, tutti in religioso silenzio davanti
allo spettacolo del sole che cala dietro le cime dei templi, della nebbiolina
che sale dalla fitta giungla, dei versi degli animali più strani
(sopra a tutti quelli rauchi delle scimmie urlatrici). Ceniamo dentro la
macchina per difenderci dalle zanzare (qua sono ferocissime!) e andiamo
a dormire molto presto. |




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19° giorno |
Tikal - Rio Dulce
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290 Km |
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Sveglia alle 5 e camminata col buio nella giungla: si va
a vedere l'alba dalla cima del tempio IV, l'edificio più alto dell'America
Precolombiana. I nuvoloni ci hanno nascosto i colori dell'alba, ma l'atmosfera
(simile a quella di ieri sera ma con molte meno persone) ci ha ripagati
della fatica: la levataccia, 45 minuti di cammino, le ripide e scivolose
scalette per salire al tempio. Questa volta riusciamo anche a vedere i tucani
e dei simpatici quadrupedi dalla coda lunga e il muso a punta. Alle 8, quando
la folla inizia ad entrare, noi usciamo dal parco, per andare a Flores a
far sistemare il motorino d'avviamento. Facciamo giusto in tempo a mangiare
qualche taco, collegarci ad Internet e comprare un vasetto di Nutella (il
quarto del viaggio), che il giovane meccanico ha già riparato il
guasto (e ce lo fa pagare solo 20 dollari: speriamo bene!). Durante questa
sosta abbiamo, per fortuna e purtroppo, scoperto i liquados, ottimi frappè
di frutta freschissima locale, finora evitati per sciocchi pregiudizi igienici.
MMHM! Corriamo poi verso Rio Dulce, la meta del giorno, fermandoci non sappiamo
dove a comprare dell'ottimo pane e pan dulce, e a far riattaccare dei tubi
lasciati penzolanti dal precedente meccanico. Sulla strada ci imbattiamo
in un uomo riverso sull'asfalto ricoperto di sangue con vicino delle grosse
pietre: la cosa ci inquieta! A Rio Dulce ci sistemiamo in uno stanzone d'ostello
sospeso sul fiume e andiamo a mangiare in un ristorantino casalingo consigliatoci
da un signore italiano che si aggira per il Sudamerica con la sua barca
da 10 anni, incontrato appena messo piede in città. Mangiamo la crema
(un ottimo formaggio molle), i soliti fagioli e tortillas , e beviamo un
paio di liquados (adesso non resistiamo più!), nel garage di una
numerosa famiglia, capeggiata da una "zdora alla messicana" schietta e rumorosa.
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20° giorno |
Rio Dulce (Livingston)
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21° giorno |
Rio Dulce - Antigua
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341 Km |
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22° giorno |
Antigua
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23° giorno |
Antigua - Panajachel
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24° giorno |
Panajacel - San Pedro
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Facciamo colazione con pancakes e ananas e melone dolcissimi,
davanti a bouganvillee e piante di limoni da fare proprio invidia ai nostri
giardini. Decidiamo di andare a Santa Catarina Polopò e San Antonio
Polopò con i mezzi pubblici. Ed eccoci a bordo di un Chicken bus
(i vecchi scuolabus degli Stati Uniti utilizzati qui come autobus di linea,
su cui viene caricato veramente di tutto) e stipati su un "picop" (i pick-up
vengono attrezzati con due assi di legno e diventano taxi, su cui si viaggia
in almeno una quindicina). Che esperienza! Entrambi i villaggi sono affacciati
sul lago e arroccati sulle pendici dei monti. A Santa Catarina decido di
vestirmi come le donne locali e passiamo quindi una piacevole mezz'oretta
in un laboratorio artigiano con due simpatiche donne cakchiquel, a provare
vestiti e a contrattare. A San Antonio invece l'impatto non è stato
affatto positivo: i mocciosetti che chiedevano soldi e le bambinette ammiccanti
per farsi fotografare e pagare (la risposta ai nostri rifiuti? "Italiani
brutti, cattivi y taccagni"!!) ci hanno rattristati molto. Per fortuna che
a Santiago Atitlan c'è Maximon a tirarci su di morale! E' un santo
moolto materiale, che beve, fuma, chiede soldi e accetta ogni tipo di preghiera.
Viene ospitato ogni anno da una famiglia diversa, i cui componenti maschili
se la spassano in compagnia delle offerte (alchol, sigarette e denaro) che
riceve. Divertiti dalla cosa, prendiamo il battello per San Pedro, dove
Roberto, un bimbetto molto sveglio, ci trascina per alberghi e ci rimedia
una stanza dignitosa. |


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25° giorno |
San Pedro - Chichicastenango
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Appena svegli scopriamo da dove viene l'Illy Caffè:
dietro l'albergo dove abbiamo dormito. Assaggiamo un chicco di caffè
fresco staccato dalla pianta (è dolcissimo!) e osserviamo i chicchi
stesi ad essiccare ai piedi del vulcano San Pedro. Interessante! Andiamo
poi a zonzo per il villaggio (in cui si sono stabiliti alcuni vecchi hippie
americani) e nonostante i nostri sforzi continuiamo ad imbatterci nello
stesso gruppo di italiani. All'imbarcadero ritroviamo il bambino Roberto
di ieri sera, che scopriamo essere coinvolto in tutte le attività
turistiche del villaggio. Cerca di adescarci sulla sua barca per Pana, ma
un suo "collega" gli soffia la preda sotto il naso e ci compra per 5 quetzales
in meno. Mentre loro due se ne dicono di tutti i colori, in lingua Maya,
noi lasciamo San Pedro e ci godiamo per l'ultima volta il bel profilo dei
vulcani sul lago. A Pana ci facciamo spennare di tienda in tienda: regali
per noi e per le nostre famigliole. Ed eccoci a Chichicastenango, in un
albergo labirinto, a consumare interi rotoli di carta igienica (no, non
per quello...ho un gran raffreddore ed è l'unica carta in nostro
possesso). Siamo andati a vedere i preparativi del mercato più famoso
del Guatemala, e domani mattina andremo a farci spennare definitivamente.
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26° giorno |
Chichicastenango - San Cristobal de Las Casas
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430 Km |
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E' stata una nottata movimentata: io non ho praticamente
dormito per il raffreddore; dalla stanza vicina venivano urla selvagge di
un bambino che, picchiato dal padre, chiedeva disperatamente aiuto. Passiamo
la mattinata al mercato e apprezziamo l'atmosfera (i fuochi e gli incensi
davanti alle Chiese di Santo Tomas e del Calvario) e i colori (compriamo
senza resistere le ennesime stoffe). Sembra che tutti i chichicastenini
facciano colazione insieme (fagioli e tortillas, naturalmente) sotto i tendoni
fumosi del mercato: molto bello, e anche noi ne approfittiamo per gustare
le nostre ultime tortillas guatemalteche (più spesse e più
gustose di quelle messicane). Ci è però sembrato il mercato
meno autentico tra quelli visti: più turisti che indios (di cui pochi
indossano gli abiti tradizionali); una marea di italiani (che come al solito
si fanno battutacce ad alta voce, stupidamente convinti che nessuno li capisca!).
Nel pomeriggio ci dirigiamo verso San Cristobal de las Casas, fra alti monti
aguzzi e campi di granoturco a non finire. Arriviamo alla meta con il buio,
scortati da una magnifica stellata. |


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27° giorno |
San Cristobal
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Che bel risveglio: come al solito il "bano con agua caliente"
non solo non ha l'acqua calda, ma non c'è proprio l'acqua. Alle nostre
lamentele otteniamo solo un incomprensibile sfarfugliamento in messicano
(queste persone parlano con gli stranieri come farebbero con il vicino di
casa) di cui capiamo solo "media ora". Decidiamo quindi di uscire lozzosi.
Il presappochismo di questo Paese, se i primi giorni ci faceva sorridere
di tenerezza, ora dopo quattro settimane ci dà proprio ai nervi!
Passiamo la giornata a passeggio per San Cristobal: come tutte le città
coloniali del Messico, è bella e vivace. Ed è coloratissima:
il grande mercato di frutta, verdura, carne e pesci secchi; i mercatini
sui piazzali delle chiese in cui gli indios vendono l'artigianato locale;
i grandi portoni di legno negli edifici azzurri, gialli, arancioni... ci
conquistano. Però che freddo! Siamo infatti a 2200 metri. Troviamo
purtroppo chiusi i musei su usi e costumi degli indios locali (i tzotziles)
e dei lacandoni (l'ultima autentica tribù maya del Messico). Del
resto non ci eravamo proprio affannati per sapere orari e giorni di apertura!
Ci consoliamo con crepes, caffè, un ottimo liquado e tacos varie,
passando di locale in locale, fino all'apice della cena: ottimi alambres
con queso, gustati in un bel ristorante argentino VUOTO, al cui fianco c'era
un brutto e moderno ristorante vegetariano PIENO ZEPPO... non ce ne capacitiamo.
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28° giorno |
San Cristobal - Oaxaca
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681 Km |
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San Cristobal è stata la nostra ultima tappa: da oggi
viaggiamo solo per raggiungere Austin il prima possibile. Dopo i primi chilometri
di fitte e verdi foreste, il paesaggio diventa via via meno folto e più
arido e desertico, fino a quando non fanno la loro comparsa i cactus e,
da un centinaio di chilometri prima di Oaxaca, gli agave, sotto forma di
vere e proprie coltivazioni. E siccome con l'agave si fa il Mezcal, alle
porte di Oaxaca ci siamo fatti un po' di bicchierini, assaggiandone dai
vari produttori e comprandone due bottiglie (ma senza il gusano, perché
è troppo salato). Troviamo poi sulla nostra strada una stupida manifestazione
del "partito": 'sti stronzi avevano bloccato la strada con grosse pietre.
Siccome poi in Messico al di fuori delle strade principali non ci sono strade
ma piste scalcagnate di terra e sassi, si facevano pagare dalle singole
auto per indicare loro la via alternativa...Non esprimo commenti, ma abbiamo
perso un'ora preziosa! Essendo già tardi ci siamo dovuti fermare
a dormire a Oaxaca, anche se le nostre errate previsioni erano di arrivare
verso Città del Messico. |
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29° giorno |
Oaxaca - Atlacomulco
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633 Km |
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Alle 7 siamo già per le strade di Oaxaca: non avendo
la possibilità di visitarla, siamo andati a fare colazione nello
zocalo per farci un'idea della città con una breve passeggiata. Un'altra
gran bella città, al pari di Antigua e San Cristobal, ma con le strade
più larghe e un'aria più signorile. Al mercato compriamo mole,
cioccolata e formaggio oaxacheni e per le 8.30 siamo in viaggio, tra cactus
di mille forme e dimensioni e sali-scendi della strada (e come al solito
decine di cani morti ai lati). Anche oggi facciamo male i nostri conti:
ci crediamo furbi decidendo di aggirare Città del Messico per evitarne
il caos. Ma il percorso Cuernavaca-Toluca da noi scelto ci fa perdere ore
su stradine e tornanti di alta montagna, con un susseguirsi di paesini (e
quindi di malefici topes) che ci rallentano ulteriormente. Inoltre piove
a dirotto. Il paesaggio è comunque molto bello, e ricorda un po'
i monti nostrani, ma anche stasera ci dobbiamo fermare molto prima della
meta stabilita (San Luis Potosì) e passiamo la notte ad Atlacomulco.
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30° giorno |
Atlacomulco - Austin
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1555 Km |
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Bhé, sulla giornata di oggi c'è poco da dire...
siamo saliti in macchina alle 7 di mattina e ne siamo usciti a mezzanotte! |
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Stefano e Chiara

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